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Poggio San Marcello

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Borghi Arte e Cultura

Poggio San Marcello

Dove il tempo si ferma tra le colline incantate delle Marche.
Poggio San Marcello
Vista panoramica di Poggio San Marcello (AN), Italy

Dettagli

Poggio San Marcello è un piccolo comune italiano situato nella provincia di Ancona, nella regione delle Marche. Questo pittoresco villaggio è conosciuto per il suo incantevole paesaggio rurale, l’architettura storica e l’atmosfera tranquilla. Offre uno scorcio sulla vita tradizionale del villaggio italiano, con strette strade acciottolate, edifici storici e viste mozzafiato sulla campagna circostante. La zona è anche rinomata per la sua cucina locale e il vino, rendendola una destinazione deliziosa per coloro che sono interessati a sperimentare l’autentica cultura e gastronomia italiana.
Poggio San Marcello, situato nella regione delle Marche in Italia, è immerso in un contesto territoriale ricco di caratteristiche distintive:

Geografia e Paesaggio: Il villaggio è situato in un’area collinare, tipica della regione delle Marche. Questo paesaggio è caratterizzato da dolci colline, campi coltivati e aree boscose, offrendo una vista panoramica e pittoresca.

Storia e Cultura: La regione delle Marche è ricca di storia, con influenze romane, medievali e rinascimentali. Poggio San Marcello, come molti villaggi della zona, conserva questa eredità storica, visibile nella sua architettura e nelle sue tradizioni.

Agricoltura e Viticoltura: La presenza di vigneti e uliveti è un tratto distintivo del paesaggio, e la produzione locale include vini DOC e DOCG.

Prossimità al Mare: Poggio San Marcello non è molto distante dalle coste. Questo offre la possibilità di combinare l’esperienza rurale con visite alle spiagge e ai borghi costieri.

Arte e Artigianato: L’area è anche nota per il suo ricco patrimonio artistico e artigianale, con molte città e villaggi che ospitano opere d’arte, artigianato tradizionale e festival culturali.

Turismo Sostenibile: Il territorio ha un forte impegno verso il turismo sostenibile, con un’enfasi sulla conservazione del paesaggio naturale e culturale e sull’offerta di esperienze autentiche.

Accessibilità e Connessioni: Anche se Poggio San Marcello è un villaggio piccolo e tranquillo, è ben collegato con le città più grandi della regione, rendendolo accessibile per i turisti.

In sintesi, Poggio San Marcello gode di un contesto territoriale che mescola bellezze naturali, ricchezza storico-culturale, tradizioni enogastronomiche e un’atmosfera rurale autentica, facendolo un luogo ideale per i visitatori che cercano un’esperienza italiana autentica e diversificata.

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POGGIO nella sua bellezza

Da una riflessione di

Reperti archeologici testimoniano la presenza umana nel territorio di Poggio San Marcello sin da tempi antichissimi. Negli anni '50, durante la sua permanenza a Poggio San Marcello, Padre Luigi Agostino Grazzi, missionario Saveriano e profondo conoscitore di storia, fece importanti ritrovamenti archeologici, in particolare la più antica fu il ritrovamento di una tomba di guerriero piceno con suo corredo militare che testimoniano la presenza - in questo territorio – della presenza umana fin dal 500 a.c. Esistono, inoltre, le prove del perdurare della vita durante l'impero romano ed anche nei primi secoli del cristianesimo, come testimoniano tegole di copertura fognaria di epoca romana e alcune tessere paleocristiane rinvenute casualmente nel 1956 durante i lavori di ristrutturazione della rete fognaria all'interno della cinta muraria del castello.

Le origini del Castello si devono far risalire al XIII secolo.
Dopo l’anno mille era presente una "villa", ovvero un agglomerato di abitazioni, sotto giurisdizione feudale del vescovo di Jesi. Le testimonianze degli insediamenti monacali sono tuttora visibili dalla piccola chiesa di San Marcello al Poggio di stile romanico: al suo interno è stato dipinto l'affresco di una crocifissione risalente al 1400 (ora restaurato ed esposto nella chiesa parrocchiale); la chiesa di Santa Maria del Monte (a qualche chilometro dal centro abitato di cui, dall' archivio vescovile, si ha notizia fin dal 1200. A poca distanza nella collina più in basso venne costruita una chiesa dedicata a San Nicolò da Bari e la cui Cripta Gotica è ancora conservata. Queto edificio fu il primo a costituire il futuro Castello risalente anch'essa al 1300.
In questo periodo storico la diocesi di Jesi ha già una organizzazione ecclesiastica. Il territorio della Vallesina è suddiviso in 7 pievi. Poggio San Marcello faceva parte della pieve di Montecarotto, la più estesa della diocesi, con 12 chiese parrocchiali e comprendeva glia attuali territori di Castelplanio, Rosora, Poggio San Marcello e Montecarotto.
Nel 1261 il Castello di Poggio San Marcello è citato come una realtà urbana già consolidata e fortificata e risulta feudo del vescovo di Jesi.
Nel documento del 1261viene trattata la vertenza tra il vescovo di Jesi, feudatario di Poggio San Marcello ed il comune di Jesi che stava avanzando pretese nel controllo del contado in Vallesina. Nella difesa il vescovo sostiene di aver acquistato il castello la sua corte e la terra da un Ageruno o Agruino. Sappiamo dunque che Poggio San Marcello ha avuto un Signorotto (dominus loci) feudatario del castello e delle sue terre.
Entra nell'orbita del comune di Jesi nel 1301 Dopo lunghe lotte per l’affrancamento il vescovo decise di vendere il castello al libero comune di Jesi. Da quel momento Poggio San Marcello entra a far parte del contado di Jesi fino alla sua definitiva estinzione con l’unità d’Italia... La sua soggezione alla potente città della valle è documentata da un importante documento del 1530 è documentata l’antica tradizione della cerimonia di presentazione del pallio di San Floriano, gesto di obbligata riverenza e sottomissione alle magistrature del contado mai sopportato e superato dai castelli del contado. Si tratta della più antica pergamena che attesta la presentazione del tradizionale palio da parte del Castello alla città dominante, in occasione della festa di San Floriano, protettore di Jesi.
Nei secoli centrali dell'età moderna, Poggio San Marcello segue le sorti di Jesi, e dello Stato Pontificio, di cui riconosce il dominio diretto anche se la città concede una certa autonomia alle varie comunità del suo Contado, che si concretizza in vere e proprie magistrature cittadine. Di queste, anche a Poggio San Marcello vi è testimonianza nei locali archivi storici. Il Comune viene annoverato nell'ambito dello Stato jesino fino alla caduta dell'"Ancien Regime" nelle Marche, conseguente all'invasione napoleonica di gran parte dei territori che costituivano lo Stato pontificio. Intensissima fu la vita durante i secoli 1600 e 1700, ce lo testimoniano le belle costruzioni all'interno delle mura castellane:
Il santuario della Madonna del soccorso e l’apertura della porta omonima ad su ovest nel 1646;
La chiesa Parrocchiale di San Nicolò da Bari costruita ex novo a partire dal 1763 su disegno di Nicola Maiolatesi e con la supervisione di Mattia Capponi;
il Palazzo Comunale edificato nel 1772 su progetto di Andrea Vici di Rocca Contrada (ora Arcevia);
la torre civica del 1755,
Il campanile del Santuario della Madonna del Soccorso del 1785 di recentemente restaurato.
Il palazzo comunale ospita il piccolo teatro ricavato al piano superiore nel 1877, presenta un soffitto affrescato da Giovanni Renzi con belle decorazioni.
Con l’unità d’Italia il grande fermento ideale e politico porta alla costruzione dell’acquedotto nel 1889, uno dei primi tra i comuni limitrofi. Fino ad allora la popolazione attingeva acqua ad alcune sorgenti (fonti) dislocate fuori dalle mura castellane. Un’importante fabbrica di laterizi presente già nel ‘700 partecipò alla fornitura dei mattoni per il nuovo campanile di San Marco a Venezia nei primi del 900.
La comunità perse l’autonomia amministrativa nel 1808 durante il regime napoleonico e nel 1926 durante la dittatura fascista. In entrambi le situazioni viene aggregato al comune di Castelplanio.
Tra la fine dell’800 e gli inizi del 900 viene dato un nuovo volto al paese con la realizzazione della piazza fuori dalle mura, abbellita con la fontana inaugurata nel 1889 a coronamento del nuovo acquedotto; fu costruito il palazzo delle scuole ed il nuovo ospedale poi divenuto Istituto dei Missionari Saveriano dal 1926 al 1956.
Un tributo in vite fu sacrificato nella Prima guerra mondiale, per cui dopo la fine della grande guerra venne innalzato il monumento ai caduti in piazza Giacomo Leopardi.
Poggio san Marcello si trova al passaggio del fronte e contribuisce con la perdita di altri sacrificati per la libertà, tra questi ricordiamo Tarcisio Tassi partigiano della formazione partigiana dei patrioti della Brigata Maiella e i militari come Pompeo Venanzi morto a Lubiana dopo l’armistizio del 1943.

Finalmente segue l’avvento della Repubblica Italiana. Il paese come tutta l’Italia risorge dalle rovine della tragedia e nel 1947 è stato ricostituito come comune autonomo.
Nei decenni che seguono assistiamo al fenomeno dello spopolamento, dovuto alla fuga dalle campagne e dalla mancanza di lavoro per gli abitanti del centro abitato. Il fenomeno dell’emigrazione si è diretto verso città italiane, soprattutto Roma e i paesi europei: Belgio, Francia, Germania e Svizzera. In particolare, molti Poggiani emigrarono in Belgio come minatori nelle miniere di carbone. Nel dopoguerra gli abitanti erano circa1880 oggi sono appena 650.

La battaglia di Montecarotto

La scaramuccia aveva infatti galvanizzato i reparti tedeschi che si diressero alla riconquista di Montecarotto, protetti da una spietata copertura di fuoco. Gli ufficiali inglesi “Lamb” (un nome di copertura in quanto probabile militare dei servizi segreti britannici) e Lesley Filliter incoraggiarono gli assediati a non arrendersi. Giunse in soccorso della resistenza il XIII plotone di stanza a Poggio San Marcello ma durante la trasferta cadde la guida Tarcisio Tassi, mentre il resto del plotone dovette fare marcia indietro, tranne sette uomini che riuscirono comunque a raggiungere l'ospedale gettandosi nella mischia tedesca.

Ponte del "Filetto"
Proiettile dell'artiglieria tedesca rimasto inesploso

Gioco della ruzzola

Che si tratti di un gioco di tradizione antichissima lo dimostrano più che i pochissimi documenti storici, la vastissima diffusione che aveva in tutta Italia fino ad appena 50 anni orsono, quando l’industrializzazione e l’abbandono delle campagne hanno portato a trascurare uno sport, che sempre è stato considerato gioco non nobile, perché praticato dalle categorie più umili della popolazione. Secondo alcuni non è esagerato pensare che il gioco della ruzzola possa avere origini etrusche. Sicuramente a fine impero romano il gioco era praticato; infatti nella tomba di un bambino è stata rinvenuta una ruzzola con lo spago. Il documento storico più significativo, che dimostra la diffusione di questo sport, in modo particolare nella zona del Fermano, è un decreto che ne vieta la pratica sulle strade principali del paese. A S. Elpidio a Mare infatti nel 1571 fu stampata una raccolta di decreti (“Statutorum ecclesiasticae terrae Sancti Elpidii volumen”), disposizioni che gli esperti ritengono risalire, in molti casi, anche ad alcuni secoli precedenti. Al libro IV, rubrica 88, tali statuti (che sono in latino) recitan “A nessuno sia lecito giocare a ruzzola o a formaggio ad rotulam vel caseum per le strade interne alla nostra terra (all’abitato) sotto pena di 4 libbre di multa per ciascuno ed anche fuori di detta terra, per le vie che conducono a S. Maria del Gesù dell’Osservanza e a S. Agostino Vecchio, sotto pena di 40 soldi per ciascuno.  Chiunque sporgerà denuncia si guadagnerà un quarto della multa e gli sarà creduto sotto giuramento.” Già 500 anni fa i giocatori di ruzzola avevano problemi con i tutori dell’ordine; non c’erano allora le automobili, è vero, ma non c’erano neppure le belle strade asfaltate di oggi e la tentazione di qualche tiro sul bei viale selciato dei frati doveva essere forte

Dalle Aie Contadine alle Rievocazioni Storiche: La Trebbiatura come Cuore della Tradizione e Identità Rurale di Poggio San Marcello e delle Marche.

Il legame indissolubile tra Poggio San Marcello e la sua terra è evidente fin dalle prime documentazioni sull'uso del suolo. Già nel XVII secolo, le "Cozze," terre comunali situate vicino alle mura del castello, erano destinate al pascolo del bestiame degli abitanti, nonostante i divieti. Questo dettaglio non è un semplice fatto aneddotico, ma rivela come, anche all'interno di un contesto fortificato e difensivo, le attività agricole fossero intrinsecamente legate alla sopravvivenza e all'economia della comunità. La dipendenza dalla terra e dalle sue risorse ha plasmato l'identità del borgo attraverso i secoli, dimostrando una notevole continuità e capacità di adattamento delle pratiche umane al proprio ambiente. L'agricoltura non è stata solo un'attività economica, ma una forza plasmatrice che ha definito il carattere e lo sviluppo dell'insediamento.  

La Vallesina, la fertile valle del fiume Esino in cui si inserisce Poggio San Marcello, ha guadagnato nei secoli la reputazione di "granaio dello Stato Pontificio". Questa denominazione, sebbene suggestiva, potrebbe suggerire una monocultura cerealicola, ma l'analisi storica rivela un paesaggio agricolo ben più ricco e diversificato. Se è vero che la cerealicoltura, in particolare la coltivazione del grano, ha dominato e si è intensificata a partire dal XIV secolo, arrivando a coprire oltre il 50% della superficie catastale delle Marche alla fine del XIV secolo , la realtà contadina della Vallesina era caratterizzata da una complessa policoltura.

La trebbiatura, l'operazione cruciale di separazione del chicco di grano dalla spiga, ha subito una profonda evoluzione nel corso dei secoli, pur mantenendo per lungo tempo tecniche immutate. Per centinaia di anni, e fino oltre la metà del Novecento, le pratiche di trebbiatura nella regione Marche rimasero sostanzialmente quelle tramandate dall'epoca romana, come testimoniato dagli scritti di Columella.

La stagione della trebbiatura trascendeva la mera dimensione del lavoro agricolo per assumere un profondo significato sociale e culturale. Era un periodo di intensa attività collettiva, caratterizzata da un forte senso di mutuo aiuto tra le famiglie contadine. Il lavoro, sebbene estenuante, si trasformava in un'occasione di aggregazione per l'intera comunità.

Poggio San Marcello si impegna attivamente nella conservazione del suo patrimonio agricolo attraverso rievocazioni storiche annuali della trebbiatura, in particolare la "Trebbiatura a fermo" (trebbiatura stazionaria). Numerosi video documentano questi eventi dal 2014 al 2023, mostrando sia la mietitura meccanizzata che l'allestimento delle trebbiatrici d'epoca. Queste rievocazioni non sono semplici esibizioni nostalgiche, ma eventi culturali vivaci che riportano in vita il passato.

Poggio San Marcello e l'Arte della Trebbiatura: Un Viaggio nel Patrimonio Agricolo Marchigiano
Descrizione:
I. Introduzione: Poggio San Marcello – Una Terra Forgiata dall'Agricoltura
II. Il Paesaggio Agricolo di Poggio San Marcello e della Vallesina
III. L'Evoluzione dei Metodi di Trebbiatura
IV. La Trebbiatura come Evento Comunitario e Culturale
V. Preservare l'Eredità: Rievocazioni e Musei
VI. Conclusione: Lo Spirito Duraturo della Terra
Licenza: Pubblico dominio (CC0)
Crediti: Gemini 2.5 Deep Search
Autore: Gemini 2.5 Deep Search
"Gemini 2.5" è un modello linguistico di grandi dimensioni (LLM) sviluppato da Google. "Gemini 2.5" rappresenterebbe un'iterazione o un aggiornamento all'interno della famiglia di modelli Gemini. I modelli Gemini sono progettati per una vasta gamma di compiti, tra cui la comprensione e la generazione di testo, la traduzione linguistica e la risposta a domande in modo informativo e completo. Google rilascia aggiornamenti e nuove versioni dei suoi modelli AI per migliorare le loro capacità, efficienza e sicurezza.

Chatgpt del 18/02/2025

Poggio San Marcello è un piccolo comune situato nella provincia di Ancona, nella regione Marche, a circa 35 chilometri a sud-ovest di Ancona. Il borgo sorge su una collina sulla sinistra del fiume Esino, offrendo panorami suggestivi delle colline circostanti.
Il centro storico conserva elementi medievali, tra cui antiche mura con torri e due porte principali: Porta San Nicola e Porta del Soccorso, quest'ultima sormontata dallo stemma del Comune di Jesi. Le strade principali, Corso Tarcisio Tassi e Via Corriola, attraversano il borgo in un caratteristico schema a forma ovale.
Tra i luoghi di interesse da visitare a Poggio San Marcello:
Santuario della Madonna del Soccorso: costruito nel XVII secolo, presenta una facciata neoclassica con nicchie contenenti statue di santi e finestre a sesto acuto. All'interno si trovano altari seicenteschi e una statua lignea della Vergine.
Chiesa di San Nicolò da Bari: edificata nel XVIII secolo su progetto dell'architetto Andrea Vici, custodisce un affresco del XVI secolo raffigurante la Crocifissione.
Palazzo Comunale: costruito nel 1772, ospita al suo interno un teatro e una sala consiliare finemente affrescata.
Castello e Cinta Muraria: resti delle fortificazioni risalenti all'inizio del XVI secolo, che testimoniano l'importanza strategica del borgo nel passato.

Per gli amanti del vino, la Cantina Sartarelli offre degustazioni e visite guidate, permettendo di scoprire i sapori autentici della regione.

Se stai pianificando una visita, Poggio San Marcello offre diverse opzioni di alloggio, tra cui appartamenti e case vacanza disponibili su piattaforme come Airbnb.

Per ulteriori informazioni sugli eventi locali e le attrazioni turistiche, è possibile consultare il sito ufficiale del turismo delle Marche.

Poggio San Marcello rappresenta una destinazione ideale per chi desidera immergersi nella storia, nella cultura e nelle tradizioni enogastronomiche delle Marche, lontano dalle mete turistiche più affollate.

Articoli

Benessere
Vino

NEL TEMPIO DEL VERDICCHIO (DEI CASTELLI DI JESI)

Da Sartarelli si beve solo Verdicchio (dei Castelli di Jesi). Una scelta precisa, di forte attaccamento al vitigno, al vino e al territorio, senza compromessi. In uno dei nostri primi stop & go autunnali, incontriamo Patrizio, alla guida della cantina con la moglie Donatella e i figli Caterina, responsabile export, e Tommaso, enologo, direttamente in vigna, in un vigneto di circa sei ettari appena vendemmiato (“c’è più uva dell’anno scorso, il clima caldo e ventilato ci ha aiutati a mantenere il grappolo asciutto, sano”). Caterina, che si divide fra clienti olandesi, tedeschi e inglesi in visita, ci introduce al Verdicchio su una terrazza panoramica a uso didattico, il cui orizzonte sono il mar Adriatico e il Monte Conero, anche qui senza mai perdere il contatto visivo con la materia prima: l’uva. Un modo, senza tanti giri di parole, per farti capire che c’è vino e vino, Verdicchio e Verdicchio, così come ci sono tanti modi di concepire il proprio lavoro. Le loro sono selezioni particolari di uno stesso vigneto o di vigneti diversi. C’è una grande cura alla base. “Dove ci troviamo ora abbiamo messo a dimora trentadue cloni differenti di Verdicchio per dare più complessità al vino. Nel vigneto in cui produciamo la nostra Riserva ci eravamo accorti che usciva sempre una botte particolare di Verdicchio, così abbiamo salvato quei cloni e li abbiamo utilizzati per l’aggiunta che il disciplinare ammette fino al 15% con uve o vino di altre tipologie, come Trebbiano e Malvasia. Da noi è Verdicchio al 100% nel bicchiere. Mio suocero Ferruccio ha sempre creduto in questo vitigno. Acquistò il casolare con i terreni intorno nel 1972, allora circa tredici ettari, di cui fa parte un vigneto storico di 52 anni che abbiamo conservato”. Sartarelli, che su 2200 circa ettari vitati dell’intera denominazione ne coltiva 36 in proprietà, il Verdicchio lo produce solo in purezza e senza le “sofisticazioni” del legno (“usiamo acciaio e cemento perché la barrique dà sempre quel sentore di vaniglia, invece noi vogliamo che esca il territorio”). Diverse le tipologie, che accompagnano tutto il pasto, dall’aperitivo al dolce. Si parte con lo spumante brut – uno Charmat lungo di ottima bevibilità, per un aperitivo non omologante – e si finisce con il Passito (da uve messe sui graticci ad appassire per circa un mese). Nel mezzo il Classico, il Tralivio Classico Superiore (da una selezione da vigneti più vecchi, dove si esegue il diradamento per ridurre la produzione a 80 quintali per ettaro), la Riserva Milletta (da unico vigneto, con criomacerazione per almeno 24 ore e quasi due anni almeno di affinamento fra acciaio e bottiglia), il pluripremiato Balciana (da uve a maturazione tardiva selezionate solo nelle migliori annate, di un unico vigneto in contrada Balciana). Il Balciana – intenso, complesso, caleidoscopio di profumi e sapori mai aggressivi – è una selezione al contrario perché le uve migliori sono lasciate in vigna e raccolte a novembre inoltrato. E non manca la grappa, ovviamente da Verdicchio. Vini longevi grazie ad alcolicità, corpo e perché non svolgono la malolattica (“due o tre grammi di acido malico ci supportano nella longevità e nella freschezza”). In vigna l’impegno ormai da più di dieci anni a coltivare disinquinando si traduce in prodotti certificati senza residui chimici, grazie a una strategia di lotta integrata basata su tecnologie e prodotti naturali utilizzati per tutti i vigneti. “Nella prima fase vegetativa, prima della fioritura ricorriamo a fitofarmaci. Con la formazione degli acini usiamo solo induttori di resistenza, ossia prodotti tecnologici ed estratti naturali derivati da erbe, alghe e lieviti che spruzzati sulla pianta simulano l’attacco della malattia stimolando la capacità di reazione”, continua Patrizio. L’impianto solare installato permette di coprire il fabbisogno energetico “tranne che nel periodo della vendemmia”, specifica. Siamo nelle Marche, nell’Anconetano, nel territorio dei castelli di Jesi, culla del Verdicchio, sulla riva sinistra del fiume Esino. Per la precisione a Poggio San Marcello (poco più di trecento metri di altitudine), uno dei diciotto comuni nel cuore storico della denominazione, la zona classica, nobile. Dolci colline degradanti verso il mare, sulla cui sommità fanno capolino borghi medievali cinti da mura, ricchi di cultura e musei, arroccati intorno alla città di Jesi, che ha dato i natali all’imperatore Federico II di Svevia e al musicista Giambattista Pergolesi e che conserva i più bei dipinti di Lorenzo Lotto, prima sparsi nelle chiese. Un territorio accarezzato da una leggera e costante brezza, fra vigne e ulivi (circa 2300 piante quelle della famiglia, soprattutto varietà frantoio e leccino) tutto da scoprire, fotografare e “instagrammare” nei suoi luoghi più iconici. La cantina sorge a una manciata di chilometri dal Parco Naturale regionale Gola della Rossa e di Frasassi (con le celebri grotte carsiche sotterranee), area naturale protetta estesa sul versante appenninico della provincia. Il museo del Verdicchio interno alla tenuta nasce sette anni fa e ci “racconta” che l’etil- caffeato, uno dei principali antiossidanti fenolici naturali, è presente in grande concentrazione in questa uva. Ad accogliere il visitatore i dipinti di Louis Jaquet, pittore contemporaneo franco-americano, che diversi anni fa si è “innamorato” del Verdicchio. “Vive a San Casciano Val di Pesa, in località Bargino, a fianco di Antinori. Arrivato qui da noi per caso una trentina di anni fa, entrò con una piccola damigiana e mi chiese di riempirla in cambio di un acquerello. Allora viveva nelle Marche. Quando abbiamo realizzato la nuova struttura, gli ho chiesto una pittura su olio di come si ricordava l’azienda”. Interessante anche la rappresentazione del cosiddetto Torchio Mistico, dove il Cristo è raffigurato con viti e uve che, da lui stesso pigiate, diventano sangue raccolto in calici, simbolo della vita donata. Quante esperienze davanti a un calice di vino!
Unicità
Vino

SARTARELLI

La cantina Sartarelli, situata a Poggio San Marcello nelle Marche, è rinomata per la produzione esclusiva di Verdicchio, un vitigno autoctono italiano. Fondata nel 1972 da Ferruccio Sartarelli, l'azienda è oggi gestita dalla famiglia Sartarelli, giunta alla terza generazione. Nel 2013, Sartarelli ha avviato il progetto "Sartarelli. ZERO", volto a garantire l'assenza di residui di molecole chimiche di sintesi nelle uve e nei vini. Questo approccio prevede l'uso di prodotti di origine naturale, come estratti di erbe, alghe e lieviti, per la protezione delle viti, promuovendo una viticoltura sostenibile e rispettosa dell'ambiente. Tra i vini di spicco della cantina vi è il "Balciana", un Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore che ha ottenuto riconoscimenti internazionali. Nel 2020, il Balciana 2017 ha vinto il trofeo come miglior vino bianco italiano all'International Wine Challenge, e nel 2024, il Balciana 2020 è stato inserito nella lista dei "Top 100 Wines of the Year" da Vinous, posizionandosi al 95° posto. La gamma di prodotti Sartarelli include diverse espressioni di Verdicchio, dal "Sartarelli Classico", un vino fresco e versatile, al "Tralivio", ottenuto da uve selezionate nei vigneti più vecchi, fino al "Sartarelli Passito", un vino dolce ottenuto da uve appassite. Quotidiano.net gli ha dedicato un articolo nel Febbraio 2024 che qui sotto riportiamo. PREZZI&QUALITA’ – La cantina marchigiana è un rarissimo esempio di produzione esclusivamente monovarietale. E i vini sono tutti senza residui chimici. di LORENZO FRASSOLDATI a nostra squadra è la nostra famiglia, è il manifesto di Sartarelli. La filosofia produttiva si riassume nel motto ‘In Verdicchio veritas’, a scanso di equivoci. Sartarelli è una delle poche aziende vitivinicole italiane che vanta una produzione esclusivamente monovarietale, nel caso specifico il Verdicchio, l’uva bianca autoctona principessa delle Marche. In principio fu Ferruccio Sartarelli, apprezzato panettiere prima, imprenditore poi, stimato benefattore e mecenate sia nei confronti delle istituzioni che dei meno abbienti. Un vero pioniere. Nel 1972 per amore della moglie Matilde, abbandona definitivamente l’idea di trasferirsi in Argentina per investire nella terra e si dedica a fare del Verdicchio, all’epoca considerato solo come vino da tavola adatto alle grandi quantità, un prodotto di assoluta eccellenza. Un sogno che con il tempo trasferisce alla figlia Donatella e al genero Patrizio. Vigneti Sartarelli a Poggio San Marcello Vigneti Sartarelli a Poggio San Marcello Inizia così la storia coraggiosa dell’azienda Sartarelli che ha fatto propri i valori del nonno: qualità, competenza, caparbietà e affidabilità. Attorno alla storica casa colonica nel comune di Poggio San Marcello, una piccola gemma preziosa incastonata nelle magnifiche colline marchigiane, a 350 metri sul livello del mare, si estendono 55 ettari di vigneti e 6 ettari di ulivi. Siamo sul lato sinistro del fiume Esino, che è la zona classica per la produzione del Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc. Donatella e Patrizio oggi sono affiancati in azienda dai figli: Caterina si occupa dell’export, mentre Tommaso è ormai uno stimato enologo. La vinificazione avviene esclusivamente in botti di acciaio così come l’affinamento, con una temperatura costante inferiore ai 18°C al fine di esaltare gli aromi dei vini. L’impegno al rispetto dell’ambiente si traduce nella filosofia ‘Residuo Zero’, un percorso di ricerca iniziato nel 2013 che oggi copre tutta la superficie aziendale. I vini Sartarelli sono tutti senza residui chimici grazie all’uso di induttori di resistenza derivati da erbe, alghe e lieviti, i quali, simulando agli occhi della pianta l’attacco della malattia, stimolano la capacità di reazione tempestiva della pianta stessa. Ne consegue una maggiore qualità dei grappoli con relativo aumento degli antiossidanti naturali del vino, nonché nell’assenza totale di residui chimici (0,001 mg/kg, limite strumentale) a garanzia per il consumatore di un prodotto sano, sicuro e pulito. Procedura tutta certificata
Borghi

STORIA secondo Wikipedia

La scoperta dovuta a padre Agostino Grazzi della tomba di un guerriero piceno e di notevoli reperti (armature, fibule, lame di pugnale, vasellame) testimoniano la presenza in questo territorio di un insediamento umano fin da cinquecento anni prima di Cristo. Esistono, inoltre, le prove del perdurare della vita durante l'Impero Romano ed anche nei primi tre secoli del cristianesimo, come testimoniano alcune tessere paleocristiane rinvenute casualmente nel 1956 durante i lavori per la ristrutturazione della rete fognaria all'interno della cinta muraria del castello. Nel secolo XIII vi era un insediamento di monaci, dapprima su di un'altura a poche decine di metri dall'attuale castello sotto la giurisdizione feudale del Vescovo di Jesi. In questo colle sorgeva una "villa" e la chiesa di San Marcello al Poggio, ancora visibile, di stile romanico-benedettino al cui interno vi era un affresco raffigurante una crocefissione di scuola fabrianese ora restaurata ed esposta nella chiesa parrocchiale. Dello stesso periodo sono la Chiesa di Santa Maria del Monte (a qualche chilometro dal castello) e la Cripta Gotica (ai piedi della casa parrocchiale - esterno delle mura castellane). Nel 1261 il Castello di Poggio San Marcello è citato come una realtà urbana già consolidata e fortificata. Il Castello di Poggio San Marcello fu assoggettato alla potente città di Jesi dal 1301, come confermato anche da un'antica pergamena del 1530. Intensa fu la vita nel 1600 - 1700 come testimoniano alcune belle costruzioni all'interno delle mure come il Palazzo Comunale progettato da Andrea Vici di Rocca Contrada (oggi Arcevia). Dal 1929 al 1946 il comune di Poggio San Marcello fu annesso al vicino Comune di Castelplanio diventandone frazione. Questa annessione causò grande malcontento fra i cittadini e accesa rivalità con i vicini di Castelplanio, generando una serie di aneddoti, tra cui quello della nuova campana, orgoglio dei poggiani, i quali avrebbero voluto farla transitare per le vie di Castelplanio come simbolo di fierezza. Non essendo possibile tecnicamente, venne fatto transitare il solo batacchio a dimostrazione che "se tanto mi dà tanto, grande il batacchio, figuriamoci la campana!"